Mister Nicola a L’Unione Sarda

Ultimissime - 10/08/2024

Davide Nicola ha rilasciato un’intervista a L’Unione Sarda oggi in edicola. Una chiacchierata ad ampio spettro con il giornalista Luca Telese: dall’attualità rossoblù con la nuova sfida iniziata lo scorso 8 luglio fino alla sfera personale, i ricordi, le radici, le ambizioni e la filosofia di vita e di lavoro.

Di seguito un estratto dell’intervista pubblicata oggi sul giornale.

IL SUO CAGLIARI
“Ho una squadra che ha recepito tanto di quello che ho trasmesso. Ho avvertito subito dedizione al lavoro, senso di appartenenza, identità: i più esperti me lo dimostrano senza risparmiarsi. É un valore aggiunto. Vedo già potenzialità importanti. C’é da lavorare, ma hanno i numeri per raggiungere la consapevolezza di quel che dovranno essere a Cagliari. Qualcuno andrà a maturare altrove, qualcuno è già andato, altri arriveranno perché io, il direttore, e la società abbiamo le idee chiare su cosa va fatto e cosa ci serve”.

LAVORO QUOTIDIANO
“Ormai ci tariamo su partite che durano almeno 95 minuti. E l’anno scorso, in una delle sfide più importanti, abbiano giocato a 103 minuti e 36 secondi. Se ci pensate è quasi come un intero tempo supplementare. Quindi, quando devo esaminare  i dati di una partita, per capire,  semplifico molto. In questi 95 minuti quante volte sono entrato nell’imbuto dell’area avversaria? Con quante palle? Non mi interessa il possesso, soprattutto se é sterile scambio orizzontale. Mi interessa quante palle veramente pericolose produco. Il dato fondamentale è quanti giocatori ho portato in area per chiudere l’azione. Ne sono entrati uno, due, quattro, sei? Con quanta costanza? Qual è il totale dei cross utili? Ovvio, partiamo da questi dati. Io posso preparare un lavoro per i ragazzi, ma se non so quanto dispendio costa al gruppo, al singolo, come faccio a programmare gli impegni e i carichi di ognuno? Le diversità sono il sale delle squadre”. Tutti partiamo dagli schemi, ma nel calcio non sempre é possibile attuare ciò che prepari. Lo schema è una relazione geometrica tra calciatori, che loro devono sapere riconoscere, distruggere e ricostruire, seguendo il loro intuito. Lo sviluppo di gioco nasce sempre da situazioni contingenti, e produce sempre variabili imprevedibili. Io non sono mai schiavo degli schemi. Se ho un calciatore di una certa età che ha due qualità forti, devo sfruttarlo per valorizzarlo, senza chiedergli cose che – penalizzando lui – danneggiano la squadra; se gli dico di fare un movimento, ma poi mi accorgo che lui istintivamente ne fa un altro ma è più efficace, sono io che modello l’assetto in campo sfruttando la sua dote per la squadra!”.

LEGAME CON L’ISOLA
“La Sardegna l’ho scoperta da bambino grazie ad Abele Atzori, un caro amico che mio padre andava a trovare a Piscinas, nel Sulcis-Iglesiente. Quando tornava ci raccontava di questa terra meravigliosa. Poi Abele venne a vivere nel nostro paese. Quando a Vigone vedevamo già la prima neve, grazie ai loro racconti avevamo negli occhi il mare, il sole, i cespugli di mirto e i fichi d’india. Mi sono innamorato di questa terra già allora. Abele ha sempre avuto con lui e con noi un rapporto tale da raccontarci la Sardegna con enorme passione. Grazie a lui so che il Cagliari é molto più di una squadra, l’identità del  popolo di cui parlava Riva”. 

NUOVA SFIDA, NUOVI STIMOLI
Se si guarda la mia carriera si copre che le stagioni in cui sono subentrato sono meno della metà. Io sono passato da Lumezzane a Livorno a Crotone a Torino, Genova e Udine, allenando con relativa tranquillità. A parte Torino, dove già sapevo che non saprei potuto restare, lottavo per  ripartire una volta conquistata la salvezza. L’ho fatto a Salerno: fui confermato, e quell’anno la Salernitana non é stata mai in zona retrocessione. Dopo la mia carriera da calciatore, ho passato più tempo ad allenare sereno in serie A, che impegnato nelle salvezze impossibili. Per questo l’etichetta di “Uomo dei miracoli”, anche quando può sembrare utile, o lusinghiera,  non mi interessa”.

LE ORIGINI
“Ho iniziato a giocare a calcio tardi, perché quando ero bambino non esistevano i telefonini. Sono nato nel 1973, e fino a dieci anni mi piaceva una sola cosa: correre. Correre e basta. Sono nato a Luserna San Giovanni, un paesino di settemila abitanti in val Pellice, una zona di prima montagna vicino a Torino. Il mio paese è però Vigone, a sud ovest di Torino. Uscivo di casa correndo e iniziavo ad andare da un paese all’altro, spesso solo per il gusto di spingermi sempre più lontano. Mi piaceva il vento sulla faccia mentre corri, l’idea di libertà che istintivamente ti comunica”.

LA FAMIGLIA
“Ero l’unico figlio maschio, ho due sorelle, una più grande e una più piccola. Una famiglia molto affiatata, fondata sulla condivisione, Mio padre è stato un grande esempio, per me. Io sono un po’ come lui: irrequieto dentro, appassionato, desideroso di fare e provare. E poi lui ha avuto ragione su di me. Gli orizzonti di libertà che cercavo, istintivamente, per crescere, li ho poi ritrovati nei rettangoli verdi dei campi di calcio. Mia madre ora si può godere con mio padre la pensione, ma ha lavorato per quasi tutta la vita a Vigone, come Oss, operatrice socio sanitaria. Un lavoro duro, che amava tanto. La passione totale di assistere gli altri, una generosità nel dare, per me quasi stupefacente. Non ci è mai mancato nulla. Nella mia famiglia  il primo insegnamento è stato questo: niente si conquista senza fatica, passione e lavoro duro. Prima di qualsiasi altra cosa viene il merito. È stata la prima lezione della mia vita, la condivido in pieno, è quella che provo a trasmettere anche a chi lavora con me”.

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