
L’allenatore rossoblù, Fabio Pisacane, si è raccontato in esclusiva dalle pagine de “Il Corriere dello Sport”, in edicola oggi. Aneddoti e obiettivi, tra passato, presente e futuro. Di seguito un estratto della sua lunga intervista:
OBIETTIVO CRESCITA
“Siamo la terza squadra più giovane in serie A per media d’età dei giocatori utilizzati, eppure abbiamo sbagliato solo la partita con il Sassuolo. Fiducia nei giovani, senza protezione eccessiva, e la guida di qualche “vecchio” giusto come Mina, Luperto, Deiola, Pavoletti. Non abbiamo ancora tirato fuori tutto il nostro potenziale tra infortuni e condizione, ma mica si può fare in tre mesi. Oltre la vittoria bisogna crescere ogni volta: l’obiettivo è questo”.
LE IDEE DEL MISTER
«Il calcio per me è visione, coraggio, responsabilità, organizzazione e collaborazione tra reparti. Sacrificio. Si allenano tattica, tecnica e carattere: ma il cuore del lavoro resta l’uomo. Guardo partite su partite, qualsiasi serie, qualsiasi nazione, e ogni volta cerco di rubare un’idea: mi piace vedere come difendono in Scozia o come costruiscono in Premier o in Serie C. Ho fatto un percorso di formazione a Salisburgo, credo nell’intensità e nel ritmo del calcio internazionale, ma sono di scuola italiana. Bisogna evolversi restando fedeli ai propri principi. Sì, curo molto i dettagli, scrivo tutto su quaderni che colleziono. Uno per stagione. Prima delle partite mi isolo cinque minuti per ricordare a me stesso da dove vengo e per cosa combatto. Mi fa sentire vivo. Secondo me gli allenatori hanno una vocazione, siamo come i preti: bisogna ascoltare e accantonare l’ego. Io sono un empatico”.
CAGLIARITANO D’ADOZIONE
“Cagliari è una città fantastica: è casa mia da undici anni, sono cagliaritano d’adozione. Cagliari per me è calcio e lavoro, famiglia: i miei figli Andrea, Francesco, Matias e Marco sono tutti arrivati qui a pochi giorni dalla nascita. Cagliari è cuore e anima, un capitolo fondamentale della mia storia. Ho comprato casa al Bastione, c’è tutto. Sono a due passi dal mare e dentro la vita. Allenare il Cagliari è così una doppia responsabilità. Un regalo per i miei 40 anni? La salvezza. Meglio se il prima possibile. Il Cagliari merita di restare dov’è, la sua dimensione naturale”.
RADICI E IDENTITÀ
“Napoli, Genova e Cagliari raccontano il mio percorso. Napoli è la radice, ci sono nato e c’è la mia famiglia: lì ho imparato a lottare e a rialzarmi. A Genova sono rinato e mi sono strutturato. A Cagliari ho avuto la Serie A, una nuova identità e una serenità diversa che ogni giorno sento di onorare. Se posso restituire qualcosa a questi luoghi, lo faccio: la riconoscenza è fondamentale nella vita. Ricevi ciò che dai. Quella contro il Genoa? Sarà una partita particolare: all’ospedale San Paolo di Savona devo tutto, è dal Genoa – dal settore giovanile all’esordio in prima squadra – che sono partito ed è a Marassi che ho giocato con il Cagliari la mia centesima in A. È contro la Samp, a Genova, che ho guidato per la prima volta la Primavera del Cagliari da allenatore di ruolo. In quella città ho imparato tanto: i primi sogni, la forza del leone quando arrivai da una scuola calcio di Napoli, il dolore. C’è tanto dentro. Oggi, però, la vivo con più equilibrio”.
SUI GIOVANI
“Palestra? Marco ha prospettive importanti, però il calcio è una fabbrica di illusi: ora è sulla bocca di tanti ma deve rimanere sé stesso e lavorare più di quanto non stia facendo. La base fa ben sperare, ma deve farne di strada. Il Cagliari ha altri giovani importanti che devono ragionare come deve fare Marco: ad esempio Obert, che viene dal settore giovanile, Idrissi che è partito dall’Academy. Prati, che ha talento. Davanti hanno un grande futuro».
CAPRILE IN AZZURRO
“Elia è un leader, ha talento e personalità. La convocazione in Nazionale è meritata. È un grande lavoratore, molto attento ai dettagli, arriva per primo e va via per ultimo. Deve continuare così. È un enorme piacere essere parte di questo suo percorso di crescita”.
IL CARISMA DI YERRY MINA
“Mina è un giocatore simbolo per carisma e voglia di combattere. È brutto che sia stato messo alla gogna mediatica: in passato c’erano giocatori violenti sul serio, tra morsi, testate e interventi durissimi, e allora perché non dire che il nervosismo di Morata nasce dall’incrocio con un campione? Yerry vive una partita nella partita con mestiere ma senza violenza. Quello che sta accadendo con lui, oggi, è anche un’offesa al Var. Non vorrei che gli fosse impedito di giocare le sue partite come ha sempre fatto”.